Giulio Camiz: pensare le sorgenti luminose
Partiamo dalle basi: cosa si intende per sorgente luminosa?
La definizione di sorgente luminosa ha due chiavi di lettura: la prima, più tecnica, legata alla trasmissione di energia; la seconda, più pratica, legata a quello che vediamo. Consideriamo la seconda e mettiamola così: nel campo visivo, possiamo considerare sorgente luminosa ogni “cosa” la cui intensità sia notevole, ovvero tutti quei punti o oggetti o parti dell’ambiente che percepiamo come picchi di luminosità, ovviamente naturale.
Propongo un esperimento: chiunque abbia gli occhi aperti e si trovi all’interno di una stanza ha davanti a sé un campo visivo; quali sono le parti più luminose? Di sicuro i primi elementi che catturano la nostra attenzione sono le finestre. E infatti le finestre sono sorgenti luminose. Non solo, possiamo definirle sorgenti “primarie”, perché oltre a rappresentare dei picchi d’intensità sono anche i dispositivi attraverso i quali la luce può entrare nell’ambiente interno.
Esistono per la verità anche sorgenti “secondarie”, ad esempio le macchie di luce diretta che si riflette sulle pareti o sui pavimenti, oppure la luminosità diffusa che scende da un vano scala, ma ciò che conta sono soprattutto le aperture in diretto contatto con l’esterno: sono quelle che portano più luce e soprattutto sono sempre lì, mentre le altre possono spegnersi o spostarsi. Nella ricerca di personalità di uno spazio, o anche di equilibrio e comfort visivo, un progettista dovrebbe saper gestire le sorgenti luminose, in particolare le primarie, ovvero le finestre, come elementi essenziali. Ciò che conta è soprattutto il loro numero e la loro posizione e poi la loro dimensione, la forma e altre caratteristiche. La distribuzione delle sorgenti è proprio questo: decidere quante finestre e dove, in relazione alla dimensione e forma dello spazio e delle funzioni da svolgere all’interno.
Apertura, casa Poblenou, CAVAA arquitects. Foto di Filippo Poli.
Appartamento Santa Croce di DEFERRARI+MODESTI. Foto di Anna Positano e Gaia Cambiaggi | Studio Campo.
Come si progetta la distribuzione della luce? Che consigli puoi darci?
La prima decisione da prendere riguarda il numero di sorgenti primarie. È abbastanza frequente dare per scontato che una stanza abbia una finestra, più raramente due. Ma quali sono le implicazioni di questo? Se c’è solo un’apertura, la luce potrà entrare solo da lì e dunque si distribuirà all’interno a partire da quel punto d’ingresso, diminuendo d’intensità man mano che penetra nello spazio. La stanza sarà “direzionata”, ovvero si creerà uno squilibrio di intensità che va da un tanto a un poco, in cui la parte più profonda gode di meno luce di quella vicino alla finestra. Per stanze piccole e con una sola funzione può andar bene, ad esempio una camera da letto o un bagno; a volte anche uno studio. Ma se l’ambiente è più grande o più articolato, poniamo un soggiorno o una doppia altezza, o un ingresso in comunicazione con la zona giorno, oppure se le funzioni da svolgere sono di più – ad esempio cucina-pranzo-salotto oppure camera da letto-armadio-studio, allora la monodirezionalità della luce e la linearità della distribuzione potrebbero non valorizzare a sufficienza le forme, e allo stesso tempo non tutte le attività beneficerebbero ugualmente della luce disponibile, poiché quelle poste in corrispondenza della sola sorgente primaria avrebbero molta luce, mentre quelle distanti finirebbero nelle parti più buie e sacrificate.
In questi casi, molto meglio avere almeno due finestre, possibilmente su fronti diversi o meglio ancora una verticale e una sul tetto. In questo modo, i valori di luminosità che scendono mentre ci allontaniamo da un’apertura tornano a salire in prossimità dell’altra; in sostanza aumenta il livello di uniformità. Una stanza con almeno due finestre ha una luce molto più omogenea e dunque è più flessibile nell’uso delle varie parti: potrei facilmente mettere una scrivania in un angolo illuminato sapendo che il tavolo da pranzo o la zona giorno hanno già “la loro luminosità” data da un’altra sorgente.
Qual è la combinazione corretta fra sorgenti luminose?
Non c’è un solo modo ottimale di combinarle, anche perché di volta in volta può prevalere un obiettivo diverso. Si potrebbe dire che avendo almeno due sorgenti primarie a disposizione è bene che siano su fronti diversi, se non opposti, laddove possibile. Questo per far sì che arrivi da più direzioni. Ma è chiaro che se una stanza o addirittura un appartamento hanno un solo fronte disponibile, allora non è proprio possibile. In quel caso è bene distanziarle, per aumentare l’uniformità di distribuzione della luce. Il fatto di avere a disposizione un tetto è una risorsa spaventosa in questo senso. Poter far entrare luce dall’alto ha moltissimi vantaggi, soprattutto in combinazione con finestre verticali: consente di portare alti livelli di luminosità molto in profondità negli ambienti, laddove l’effetto delle finestre verticali non riesce ad arrivare; è una luce molto più intensa, poiché una finestra sul tetto inquadra molto più cielo di una verticale; inoltre consente di riprodurre la sensazione che si ha all’aperto, in cui il cielo è sopra la nostra testa e la luce viene dall’alto. Questa combinazione peraltro è anche molto efficace per innescare la ventilazione verticale, l’effetto camino, così funzionale per il ricambio dell’aria e la sensazione di fresco.
House G. di Maxwan Architects. Foto di Filip Dujardin.
Progetto La Cerdanya di Dom Arquitectura. Foto di Jordi Anguera.
Un altro termine: multidirezionalità. Cosa significa e perché è importante nel progetto per la luce?
La multidirezionalità è proprio la caratteristica di uno spazio in cui la luce riesce a entrare da diverse direzioni. È un termine sintetico per definire le condizioni appena descritte. Ovviamente per averla serve che le sorgenti primarie, le finestre, siano almeno due. È cruciale cercare questa possibilità in un progetto illuminotecnico perché i vantaggi che si ottengono sono enormi: dalla funzionalità, alla flessibilità, all’uniformità, alla complessità della percezione e degli stimoli. Uno spazio multidirezionale dal punto di vista luminoso è tendenzialmente più vivibile e più bello, soprattutto se tra le direzioni di provenienza della luce è anche compresa quella che va dall’alto verso il basso.
Element House di Sami RIntala. Foto di Park Wan Soon e Emil Goh.
Cosa si intende per trasmittanza luminosa?
In gergo tecnico la trasmittanza luminosa è la capacità di un materiale di lasciar passare la componente visibile della luce. Quanto più è alta, tanto più un materiale è permeabile alla luce. In sostanza è l’espressione scientifica che definisce la trasparenza: mentre un muro, opaco, ha trasmittanza luminosa pari a zero, non essendo affatto trasparente, i vetri delle finestre hanno un coefficiente di trasmittanza luminosa piuttosto alto, di solito compreso tra il 50 e il 70%.
The Glass House di AR Design Studio. Foto di Martin Gardner
Per ultimo, un passo indietro: in quale tappa del processo progettuale si dovrebbe inserire la Daylight Design Phase?
È piuttosto raro che sia identificabile in modo preciso, data la complessità del processo, un momento interamente e unicamente dedicato al progetto per la luce, tuttavia è cruciale ragionare sulla luce, data l’importanza del fenomeno per il benessere e per la funzionalità. È possibile che l’illuminazione naturale resti tema di fondo durante intere parti del percorso di progettazione, o anche di tutto il percorso; l’importante è che un progettista sia consapevole del fatto che tutte le scelte prese sulla geometria dello spazio e soprattutto sulle sorgenti primarie (numero, dimensione, posizione in primo luogo) avranno una conseguenza sulla luce, in termini di quantità e di distribuzione.